Soprintendenza per i Beni Archeologici

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Archeologia preventiva

Da tempo era sorta nel nostro Paese la necessità di migliorare il quadro normativo connesso al problema dell’impatto delle opere pubbliche di nuova realizzazione sul patrimonio archeologico ancora sepolto.

Se, da una parte, la Convenzione Europea n. 143 sulla protezione del patrimonio archeologico (1992) chiariva in modo inequivocabile (art. 5, c. 1) che è necessario impegnarsi affinché “si concilino e combinino le rispettive esigenze dell’archeologia e dei programmi di sviluppo” e che (c. 3) “le valutazioni di impatto ambientale e le decisioni risultanti comprendano piena considerazione dei siti archeologici e del loro ambiente”, dall’altra la normativa sui lavori pubblici rimaneva generica, prevedendo unicamente a livello regolamentare (D.P.R. n. 554 del 1999) la necessità di studi archeologici nell’ambito della progettazione preliminare (artt. 18 e 19).
 

In Piemonte, sin dal momento della costruzione dell’autostrada dei Trafori A26 (anno 1982), la Soprintendenza ha comunque attivato una politica di controllo sulle opere pubbliche a partire dalle fasi progettuali, richiedendo studi specifici e una continua sorveglianza in corso d’opera.
 

Le recenti realizzazioni di infrastrutture a vasto impatto hanno comportato una nuova presa di coscienza del problema, a fronte di numerosi e significativi ritrovamenti, e hanno contribuito a determinare la nascita di una specifica normativa (legge n. 109 del 25 giugno 2005), ora confluita nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici (decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006).
 

Viene così finalmente definito, dopo quasi un secolo e mezzo di trasformazione radicale del territorio senza adeguata prevenzione, un approccio preliminare al problema archeologico allo scopo di mettere in campo tutte le strategie per limitare il più possibile rinvenimenti casuali di siti archeologici nel corso dei lavori, garantendo da un lato una più efficace tutela e dall'altro contenendo gli effetti di imprevisti su costi e tempi delle realizzazioni delle opere stesse.

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 28, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. L.vo 42/2004), la procedura (art. 95, c. 1) prevede la trasmissione al Soprintendente, da parte delle stazioni appaltanti e prima dell'approvazione, di copia del progetto preliminare dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini delle valutazioni archeologiche, completo degli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari secondo quanto disposto dal regolamento, con particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all'esito di ricognizioni volte all'osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni. Le stazioni appaltanti raccolgono ed elaborano tale documentazione mediante i dipartimenti archeologici delle università, ovvero mediante i soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia”.
 

Tale eleborazione deve comprendere la valutazione degli eventuali elementi di rischio archeologico presenti nell'area interessata e del rischio effettivo direttamente connesso all'esecuzione dell'opera stessa, oltre alla proposta di eventuali interventi preliminari o cautele esecutive idonee a ridurre gli elementi di incertezza o comunque ad abbattere il rischio di danneggiamenti del patrimonio archeologico.
 

La Soprintendenza, valutata la documentazione, può chiedere approfondimenti, oppure, entro 90 giorni, l’avvio della procedura di “verifica preventiva” (art. 96), che consiste nella realizzazione di ulteriori indagini archeologiche dirette scientificamente dalla Soprintendenza stessa, con oneri a carico della stazione appaltante.
 

Esse si articolano in due fasi. La prima, integrativa della progettazione preliminare può prevedere:
- esecuzione di carotaggi
- prospezioni geofisiche e geochimiche
- saggi archeologici tali da assicurare una sufficiente campionatura dell'area interessata dai lavori.

La seconda, integrativa della progettazione definitiva ed esecutiva, può comportare anche
- lo scavo archeologico in estensione dell'area interessata dall'opera pubblica.


La relazione archeologica definitiva, approvata dal Soprintendente di settore, contiene la descrizione analitica delle indagini eseguite e, a seconda degli esiti, formalizza le conseguenti prescrizioni.


In alcuni contesti lo scavo stratigrafico esaurisce direttamente l'esigenza di tutela.

Nei casi in cui si evidenziano reperti non leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione sono possibili interventi di reinterro oppure smontaggio - rimontaggio e musealizzazione in altra sede rispetto a quella di rinvenimento.
Qualora si portino in luce complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l'integrale mantenimento in loco sarà necessaria la valutazione di varianti progettuali in funzione della conservazione del complesso archeologico, per il quale si avvierà il procedimento di dichiarazione di interesse archeologico (...).

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